Il riallestimento della Galleria nazionale d’arte moderna: le nuove coordinate del progetto
Quando bisogna intervenire con minime risorse economiche in un campo delimitato, quale quello di un museo monumentale ricco di storia come la Galleria nazionale, le coordinate fondamentali che definiscono la percezione dello spazio espositivo si possono facilmente trasformare operando principalmente su tre parametri fondamentali come il colore, la luce e i percorsi.
Le scelte cromatiche, necessariamente legate a quelle illuminotecniche, sono quindi state prioritarie per esprimere il nuovo progetto. La novità principale rispetto al precedente allestimento del 1997 è nello spostamento delle coordinate dello spazio espositivo che focalizza l’attenzione sul museo ora inteso come collezione di opere e non più come solo edificio monumentale.
Le problematiche maggiori hanno riguardato principalmente la parte dell’edificio più antico che prima dell’intervento era dedicato esclusivamente alla collezione del XIX sec.
Il grande restauro voluto da Sandra Pinto aveva ricreato tutta l’atmosfera del Palazzo in stile Beaux Arts del 1911, la maggior parte delle sale erano tinteggiate con colori pastello sui toni del giallo, del rosa o del celeste su cui emergevano prepotentemente i ricostruiti apparati decorativi in legno di ciliegio dei portali, degli imbotti e delle boiserie che correvano lungo tutto il perimetro delle sale espositive. Le opere esposte non risultavano efficacemente valorizzate.
Un’indagine osservante, condotta sui tempi di sosta e sui tragitti dei visitatori nel corso degli ultimi anni, ha evidenziato alcuni fenomeni significativi come la tendenza prevalente ad attraversare le sale senza soffermarsi sulle opere. Spesso, a fine percorso, il visitatore scopriva di non aver visto alcune delle opere più significative della collezione. Bisognava quindi ripensare il museo ripartendo dalle opere, polarizzando costantemente su di esse l’attenzione dei visitatori.
Il colore è stato certamente l’agente principale di tale trasformazione. Per raggiungere l’obiettivo era necessario poter sperimentare e visualizzare con estremo realismo gli effetti cromatici sull’architettura delle sale. Si è quindi elaborata una metodologia basata principalmente su modelli tridimensionali ricostruiti nei minimi dettagli ed elaborati poi al computer.
Gli studi dimostravano che, con un intervento sugli apparati lignei interni, dipinti integralmente con il medesimo colore delle pareti (tono su tono), l’impatto cromatico del legno e scultoreo della decorazione si sarebbe “desaturato” con un risultato di percezione delle opere esposte sorprendentemente efficace.
Così concepito il nuovo allestimento riportava il museo in una dimensione d’uso contemporanea. La collezione, completamente riordinata dal Soprintendente Maria Vittoria Marini Clarelli, era finalmente posta al centro di tutte le scelte architettonico-espositive.
Descrizione dei punti salienti del rinnovamento espositivo
Le tavole di progetto del riallestimento della Galleria nazionale d’arte moderna.
Il concept cromatico
Risolte le problematiche “strutturali” si dovevano affrontare quelle cromatiche. Per i settori più contemporanei si è naturalmente previlegiato il bianco puro mentre per l’ottocento e per l’avanguardia, dall’impressionismo all’astrattismo, sono stati applicati ragionamenti puntuali cromaticamente più complessi.
Se le opere dovevano tornare ad essere le protagoniste del museo i colori dovevano necessariamente essere determinati sala per sala e campionati in relazione alla tavolozza delle opere esposte. Concettualmente libero da ogni condizionamento architettonico ho affrontato il problema sviluppando, anche in questo caso, un metodo di simulazione digitale.
Lavorare con un colore di luce RGB anche con riproduzioni fotografiche cromaticamente bilanciate è una cosa totalmente diversa rispetto alla materia pittorica ma comunque estremamente utile per restringere il campo cromatico di indagine. Il metodo prevede, per ciascuna sala del museo, la scelta di alcune opere significative disposte ordinatamente su un fondale più volte colorato con campionature preselezionate.
I campioni che determinano complessivamente il miglior risultato percettivo delle opere sono poi sottoposti ad ulteriori indagini e in molti casi i fondali sono anche campionati sulle dominanti dei quadri più importanti della sala.
Nel caso per esempio della sala 05, dedicata ai temi classici e romantici del nostro Ottocento il colore del fondale è stato campionato da alcune dominanti tratte dalle tele di Hayez e di Induno. Virtualmente, dopo svariati tentativi, il colore selezionato corrispondeva ad una campionatura di rossi prossimi ad una certa tonalità di pompeiano, bolo armeno e cera lacca.
La successiva fase di elaborazione ha richiesto un lavoro molto più complesso in quanto è stato necessario individuare alcune varianti attorno all’obiettivo cromatico scelto, sulla base della cartella con i 6000 campioni della ACC color map.
La seconda operazione fondamentale ha riguardato l’individuazione delle caratteristiche della materia pittorica. Con il diretto coinvolgimento della Sikkens, dopo una serie di prove, abbiamo focalizzato l’attenzione su un prodotto traspirante dalle interessanti caratteristiche tecniche come Alphaxylan sf, una particolare pittura murale acrilica di base silossanica ricca di resine nobili, in grado di conferire alla pellicola pittorica una significativa profondità cromatica dall’apparenza vellutata.
La nuova resa della superficie pittorica, che gioca un ruolo fondamentale sull’incidenza della luce, risolve le molte problematiche tipiche dei grandi ambienti architettonici come le normali imperfezioni degli intonaci, causa di fastidiose macchie di lucidità a volte intermittenti e percepibili soprattutto nell’attraversamento delle sale e negli scorci prospettici.
L’aspetto vellutato della superficie riverbera inoltre la luce diffondendola in modo più armonico nell’ambiente e il colore diventa profondo stabilendo innumerevoli interazioni vibranti con le opere allestite.
Da questo momento in poi è stato indispensabile procedere ad una campionatura del materiale con test eseguiti necessariamente in loco. Il risultato di intere giornate trascorse a virare, rimescolando e impastando i campioni base con molteplici unità cromatiche, è stato una quantità considerevole di impercettibili varianti che hanno consentito di sperimentare il colore finale nell’ambiente e con le esatte condizioni illuminotecniche.
Ogni variante applicata sulla parete è stata contemporaneamente codificata e registrata a “secco” su piccoli pannelli di mdf e a “fresco” in piccole capsule di plastica. Il colore finale, destinato alla tinteggiatura delle pareti e degli apparati decorativi lignei, è stato quindi individuato attraverso ripetute osservazioni tenendo necessariamente conto delle molteplici variabili illuminotecniche: luce diurna diffusa, lampade a ioduri e i nuovissimi led della ERCO.
L’operazione che ha richiesto complessivamente dieci giorni fra prove e campionature, è stata svolta con la preziosa collaborazione del fornitore SIKKENS Geal Color di Ciampino che ha “decodificato” con grande meticolosità e passione tutti i colori utilizzati.
Ogni colore prima dell’approvazione definitiva è stato campionato, codificato, prodotto in piccoli contenitori per essere infine applicato su una grande estensione di parete e lasciato riposare per due giorni. L’intero ciclo di indagine si è così ripetuto per ogni colore speciale creato in esclusiva per alcuni settori del museo.
Il settore che ha richiesto maggiore attenzione è stato certamente quello Ottocentesco: da Canova a Segantini. Per questo settore sono stati utilizzati ben 5 colori per sole sette sale.
Oltre alla metodologia particolarmente laboriosa ma dai risultati di sicuro successo era necessario affrontare anche altre problematiche che definirei più concettuali che stilistiche. Ci siamo domandati se per la grande scultura di Canova fosse per esempio necessario intervenire con un colore filologicamente più corretto come un neoclassico blu pavone.
Poi ha prevalso la linea contemporanea di una percezione estetica e concettuale attualizzata dell’opera che non dialoga più con osservatori antichi ma con osservatori di questo presente nel nostro contesto. Il punto di partenza è stato certamente il blù pavone ma l’immagine di Ercole circondato dagli dei contro un fondale totalmente libero e scuro prendeva il sopravvento fra tante ipotesi. Partendo da una base blu pavone si è progressivamente spenta la tonalità aggiungendo molti colori e naturalmente il nero. Il risultato raggiunto si potrebbe definire un blu pavone scuro ma in realtà si tratta di un colore più complesso. Il risultato sulle pareti della grande sala è sorprendente perché il contrasto con il gruppo scultoreo in marmo bianco statuario genera un fondale nero profondo che sfuma verso le pareti laterali, nelle zone direttamente illuminate, in un blu pavone brillante. E’ un effetto ipnotico come il colore del cielo terso d’alta quota quando gli ultimi bagliori del giorno virano in notte profonda.