1961-2011
Cinquant’anni di arte in Italia

Dalle collezioni GNAM e TERRAE MOTUS

Caserta, 13.07_13.11.2011

Reggia di Caserta – Appartamenti storici

Mostra a cura di 

Paola Raffaella David
Maria Vittoria Marini Clarelli

Architettura espositiva 

Cura dell’allestimento

Grafica espositiva

arch. Federico Lardera

 

Collaboratori:

dott. Giustino Cacciotti

 

 

larderArch studio

candidato al

Premio Compasso d’Oro 2014

Reggia di Caserta; allestimento; larderArch

La facciata della Reggia di Caserta con gli stendardi della mostra nel 2011

Dalla collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Caserta e Benevento e la Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è nato un programma espositivo in tre tappe alla Reggia di Caserta e che ruota intorno all’idea di “contemporaneità nell’arte”. 

La prima mostra, 1961 -2011 Cinquant’anni di arte in Italia dalle collezioni GNAM e TERRAE MOTUS si propone di mostrare 50 anni di sperimentazione che hanno caratterizzato il nostro paese dal 1961 ad oggi attingendo alla collezione Terrae Motus che dal 1992 è esposta alla Reggia di Caserta.

Curata da Paola Raffaella David e Maria Vittoria Marini Clarelli, l’esposizione metterà a confronto una selezione di circa 50 opere italiane provenienti sia dalla collezione Terrae Motus, nella quale sono rappresentati artisti come Alighiero Boetti, Enzo Cucchi, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Luigi Ontani, Mimmo Paladino, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Emilio Vedova, sia dalla raccolta della GNAM, dalla quale provengono lavori di Alberto Burri, Lucio Fontana Jannis Kounellis, Piero Manzoni, Fabio Mauri, Enzo Mari, Fausto Melotti, Sante Monachesi, Paola Levi Montalcini, Sandro Chia, Eliseo Mattiacci, Ettore Spalletti, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Gilberto Zorio e tanti altri.

EXHIBITION

Una visita ai monumentali saloni della Reggia nella straordinaria veste della mostra che ha portato a Caserta alcune delle più significative opere del secondo novecento, allestite da larderArch studio nei fastosi spazi di Vanvitelli. 

IL CONCEPT ESPOSITIVO

Allestire una mostra nei saloni di rappresentanza degli appartamenti reali della Reggia di Caserta, suscita un duplice sentimento misto fra il più inibito timore reverenziale e il più irriverente impulso futurista di plastica sopraffazione.

Il programma prevede di concepire una struttura espositiva che si snoda attraverso i saloni fastosi della Reggia, come l’imponente sala dorata del trono particolarmente satura di decorazioni, e di allestire poi un nutrito numero di opere contemporanee, peraltro di grosso formato, collocate essenzialmente a parete.

Come spesso accade fortunatamente nel mio lavoro, l’occasione è preziosa per poter analizzare l’impianto architettonico dell’opera somma di Luigi Vanvitelli. Se, come sostiene Argan, “la cultura barocca è l’ultima cultura classica” sopraggiungo alla convinzione che Vanvitelli è l’ultimo dei classici anziché il primo dei neoclassici. I modelli di riferimento restano i disegni di Carlo Fontana, Borromini, Bernini e naturalmente l’opera dello Juvarra. Dalla lucida analisi di Cesare de Seta appare evidente che le idee iniziali dell’architetto si sono dovute uniformare alla concezione rigidamente classicista di forma romana del Re Carlo di Borbone. L’intero organismo è quindi assoggettato ad una monotona griglia geometrica sapientemente diluita e all’apparenza dissolta negli scenografici colpi di genio barocco che paradossalmente si concentrano negli organi funzionali della Reggia come il vestibolo, la scala regia, il teatrino di corte, la Cappella Palatina e la straordinaria galleria assiale che pone la sede reale concettualmente nel punto focale di un piano urbanistico di grande prospettiva politica.

La mostra è dislocata al piano reale che si raggiunge attraversando il grande vestibolo centrale. Si tratta dell’appartamento detto “nuovo” perché risistemato dopo il 1816. La prima sala che si incontra è quella dedicata ad Alessandro il grande con un esteso affresco che dissolve i contorni architettonici della volta. Seguono le sale dedicate a Marte, Astrea e la sala del trono, cuore istituzionale dell’edificio.

E’ estremamente complesso e forse veramente impossibile individuare un fattore espositivo comune che possa indurre il visitatore a sviluppare un’empatia estetico-concettuale fra opera ed allestimento che funzioni per esempio sia con il Concetto spaziale del 1961 di Fontana che con Fofo non ha fifa del 1986 di Ontani.       

Sostengo che l’atto espositivo è necessariamente (sia volontario che involontario) un atto critico ma in questo caso allestire 45 artisti spesso molto distanti fra loro per linguaggio, teoria e tecnica, mi induce all’individuazione di una struttura che sia neutrale, se la si considera rapportata alle opere esposte, ma fortemente dialogante se rapportata invece alla struttura architettonica del contesto.

Una struttura espositiva che origini dalla griglia compositiva vanvitelliana può essere la soluzione migliore per organizzare la complessità della mostra all’interno di un contesto di grande carica espressiva senza dover creare un terzo egocentrico protagonista. 

La geometrica scansione delle lesene binate, che decorano e caratterizzano gli ambienti, diventa il modulo elementare della griglia compositiva dell’impianto espositivo.

Le grandi sale presentano due percorsi longitudinali, quello verso l’interno dell’edificio è il percorso di ingresso della visita e quello verso l’esterno, sul lato delle grandi vetrate, è il percorso di uscita. Tale schema segue l’ordinario percorso di visita degli ambienti storici e deve coincidere necessariamente con il percorso di visita della mostra.

La longitudinalità dei percorsi unita alla sola illuminazione naturale proveniente dalle grandi vetrate sul lato sud determina la costituzione di uno schema a pettine con sale aperte verso la luce costituite da sottili pannelli innestati su una grande piattaforma longitudinale particolarmente adatta per l’esposizione delle opere scultoree. 

L’intervallo regolare di circa 6 metri che seziona trasversalmente il corpo longitudinale sul lato sud della Reggia viene quindi assunto come modulo compositivo delle sezioni espositive. La proporzione è perfetta. Immagino così le innumerevoli sezioni compositive che fuoriescono dalle pareti e intersecano come piani anatomici lo spazio architettonico e si condensano in sottili piani espositivi. Le lesene binate si sdoppiano simmetricamente lungo l’asse di visita interno e si innestano nel basamento longitudinale. La geometria è leggera nonostante l’altezza di 7,60 metri delle paraste sintetiche. Tutti i piani rimangono isolati, non si formano mai angoli nemmeno per risolvere le problematiche di ordine strutturale particolarmente complicate dalla volontà di mantenere la leggerezza astratta dei pannelli spessi soltanto 30 cm. La soluzione strutturale è risolta con un sistema-giunto in tubolare quadro di ferro che lega, in un  blocco solidale, le astratte lesene ai setti ed al basamento longitudinale.

La maglia geometrica condensatasi nella totalità della bianca struttura espositiva appare, una volta costruita nei rigogliosi e possenti spazi vanvitelliani, come una struttura neoplastica che si espande nello spazio leggera e dinamica come se fosse la tridimensionalizzazione di uno studio di Theo van Doesburg.  Il piani rarefatti mai collegati fra loro, le fessure attraverso cui filtrano gli sguardi e la luce solare e conseguentemente le innumerevoli prospettive che si rapportano per mimesi geometrica all’architettura del contesto, costituiscono il palcoscenico ideale su cui gli attori dell’arte italiana degli ultimi cinquant’anni inscenano la loro commedia.

La “dittatura” della maglia geometrica coinvolge anche l’allestimento delle opere come nel caso dell’opera installazione di Giulio Paolini, L’altra figura del 1986 che rappresenta due calchi in gesso dell’Efebo di Maratona posti, ciascuno su una base, a ridosso di due pareti contrapposte lungo il medesimo asse, con i cocci della terza figura sparsi ai piedi delle due sculture, su un numero variabile di basi collocate a intervalli regolari tra le due figure.

L’installazione è rigorosamente posta assialmente fra le lesene e il piano espositivo in modo da collaborare virtuosamente alla misura della maglia compositiva che si innesta in un continuum di rapporti geometrici e concettuali fra architettura opera ed allestimento.

Ma è con l’opera di Pino Pascali, 32 mq di mare circa  che si compie la nemesi geometrica, con questa straordinaria installazione modulare che concettualizza la natura del mare con 30 vasche identiche riempite d’acqua colorata e sulle quali si riflette, con uno straordinario effetto scenografico, la volta affrescata con il matrimonio fra Alessandro e Rossane e tutto il razionalismo proto-neoclassico dell’architettura interna malgrado le intenzioni del suo autore.

Federico Lardera, Luglio 2012

   

 EXHIBITION DESIGN

allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Planimetria del piano nobile della Reggia di Caserta; in rosso è evidenziata l’area espositiva

progetto di allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Planimetria della struttura espositiva 

progetto di allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Layout espositivo con opere allestite

progetto di allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Ricostruzione virtuale degli ambienti della Reggia allestiti con il modello tridimensionale della struttura espositiva

progetto di allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Particolare della ricostruzione virtuale degli ambienti della Reggia allestiti con il modello tridimensionale della struttura espositiva

Lo stendardo della mostra

 BACKSTAGE

allestimento; Reggia di Caserta; exhibition Design

Un momento della costruzione della struttura espositiva 

Maria Vittoria Marini Clarelli; arch. Federico Lardera

Nella foto, da sinistra: Ferdinando Creta (funzionario Reggia di Caserta); la curatrice Maria Vittoria Marini Clarelli (soprintendente GNAM); l’arch. Federico Lardera (larderArch studio) 

 LA MOSTRA IN UN REPORTAGE DI EXIBART.TV

 

Crediti fotografici
Antonio Idini

Loading