Gino De Dominicis
l’Immortale

Roma, 30.05_7.11.2010

 

MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo

 

Direttore MAXXI ARTE

Anna Mattirolo

Mostra a cura di 

Achille Bonito Oliva

Architettura espositiva e cura dell’allestimento 

arch. Federico Lardera

candidato al

Premio Compasso d’Oro 2014

Gino De Dominicis, l’immortale è una delle mostre inaugurali del MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, la prima istituzione nazionale dedicata agli artisti contemporanei e pensata come un grande campus per la cultura. Il MAXXI, gestito da una Fondazione costituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ospita due musei: il MAXXI Arte, diretto all’inaugurazione da Anna Mattirolo e il MAXXI Architettura, diretto all’inaugurazione da Margherita Guccione. Sede del MAXXI è la grande opera architettonica progettata da Zaha Hadid nel quartiere Flaminio di Roma. 

Il concept espositivo illustra la sintesi geometrica di due grandi forze (opere) apparentemente contrapposte: l’opera artistica di Gino De Dominicis e l’opera architettonica di Zaha Hadid.  

EXHIBITION

Inizia con l’asta dorata della monumentale “Calamita cosmica”, all’estermo del museo e in stretto dialogo con le forme aliene del progetto hadidiano; poi la “Mozzarella in carrozza” parcheggiata nell’atrio; si entra nella elegante sala con le quattro colonne, regno dell’invisibile; si sale attraverso il ventre del museo lungo le vorticose scale infestate dai demoni; si entra nel templio della suite 5, in salita, fino alla luce del santuario alieno dove davanti alla MAXXI finestra si ritorna all’asta dorata…

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    la scultura monumentale allestita all’ingresso del Museo MAXXI

    MAXXI opening
  • allestimento della “Calamita Cosmica”

    MAXXI opening
  • allestimento della gigantesca scultura

    MAXXI opening
  • scultura monumentale: “Calamita Cosmica”

    MAXXI opening
  • architettura aliena e grande “Calamita Cosmica”

    Progetto allestimento mostra
  • l’atrio del MAXXI allestito per la prima volta

    Progetto allestimento mostra
  • la “Mozzarella in carrozza” dialoga con l’opera di Mochetti

    Progetto allestimento mostra
  • il ventre del Museo MAXXI, allestito

    Progetto allestimento mostra
  • allestimento della sala Gian Ferrari

    Progetto allestimento mostra
  • allestire l’invisibile

    Progetto allestimento mostra
  • allestire il tempo immobile

    Progetto allestimento mostra
  • le preesistenti colonne in ghisa

    Progetto allestimento mostra
  • la sala Gian Ferrari è una citazione della galleria L’Attico di Fabio Sargentini

    Progetto allestimento mostra
  • allestire l’entropia nel tempio terrestre

    Progetto allestimento mostra
  • scalata attraverso gli inferi

    Progetto allestimento mostra
  • davanti ai Demoni di De Dominicis

    Progetto allestimento mostra
  • Il ventre del MAXXI

    Progetto allestimento mostra
  • l’invenzione della parete espositiva

    Progetto allestimento mostra
  • “diavolo rosso” con linea di luce di Maurizio Mochetti

    Progetto allestimento mostra
  • la cima dell’iperspazio, oltre gli inferi

    Progetto allestimento mostra
  • i diavoli di De Dominicis dialogano con le linee di Mochetti

    Progetto allestimento mostra
  • oltre i demoni

    Progetto allestimento mostra
  • geometrie fluide e linee di luce

    Progetto allestimento mostra
  • la proiezione sulla cima

    Progetto allestimento mostra
  • cuboteche sospese

    Progetto allestimento mostra
  • cuboteca luminosa

    Progetto allestimento mostra
  • invenzione espositiva: le cuboteche sospese

    Progetto allestimento mostra
  • curvatura nell’iperspazio hadidiane

    Progetto allestimento mostra
  • il MAXXI si srotola

    Progetto allestimento mostra
  • entrando nella Suite-5

    Progetto allestimento mostra
  • i guardiani del tempio celeste

    Progetto allestimento mostra
  • attraverso il tempio celeste lo spazio si espande

    Progetto allestimento mostra
  • vortice espositivo

    Progetto allestimento mostra
  • sinfonie di volumi e deformazione topologica

    Progetto allestimento mostra
  • allestimento con prospettive accelerate e rovesciate

    Progetto allestimento mostra
  • allestimento sala rossa

    Progetto allestimento mostra
  • danzando con Zaha Hadid

    Progetto allestimento mostra
  • le luci giocano con l’allestimento

    Progetto allestimento mostra
  • il corridoio con i principi dell’artista

    Progetto allestimento mostra
  • guerriero stellare

    Allestimento mostre
  • la MAXXI-finestra con l’asta dorata

    Allestimento mostre
  • l‘allestimento dialoga con l’architettura

    Allestimento mostre
  • sala del tempio celeste

    Progetto allestimento mostra

L’OPERA ARTISTICA

“La mostra prende in esame i maggiori nodi tematici e iconografici affrontati dall’artista: l’immortalità della materia e l’entropia, il rovesciamento prospettico e l’ubiquità, la metamorfosi e l’evoluzione, il confine tra visibile e invisibile, l’ironia, la sospensione tra passato e avvenire. Su tutti domina la riflessione sull’immortalità, che è una costante nella ricerca di De Dominicis. Per questa ragione la mostra non è stata costruita secondo un’evoluzione cronologica lineare, ma in una dimensione di tempo circolare, in cui le opere  sono presentate come epifanie, anche attraverso il ricorso a veri e propri cortocircuiti visivi tra lavori di contenuto simile ma distanti cronologicamente”.(A.B.O.)

L’immortalità è il fulcro della ricerca, lo spiega lo stesso Gino De Dominicis nella lettera sull’immortalità del 1970: “La maggior parte delle attività dell’uomo che oggi sono ingiustificate, sarebbero logiche per lui solo dopo aver raggiunto l’immortalità, perché solo allora potremmo permetterci degli obiettivi fantastici e irrazionali volti solo a procurarci della gioia (arte, ricerca scientifica etc.)”.

In matematica l’asintoto verticale è una retta che si avvicina alla funzione senza mai toccarla, per tale ragione l’asintoto è considerato come una tangente all’infinito della funzione. Forse l’immortalità può essere assimilata metaforicamente ad un asintoto verticale con coordinata temporale pari a zero. Ma attraverso quali strumenti l’uomo può raggiungere l’immortalità ed attraversare l’orizzonte degli eventi come farebbe un astronauta all’interno di un astrofisico buco nero?  Forse con la poltrona per un viaggio nello spazio del 1972?

In effetti, “l’arte diventa pratica che saggia concretamente il buco nero della morte, che evidenzia lo scacco dell’estinzione, nello stesso tempo è la dimensione che può ristabilire il primato antropologico rispetto all’esistenza generalizzata del mondo animale. Per considerazione di un potere intellettuale e culturale che l’uomo può non soltanto rivendicare ma esercitare, concentrando le proprie ricerche sopra il superamento del limite”. (A.B.O.)

“De Dominicis lavora [..] in un sistema di temporalità circolare, in cui confluiscono contemporaneamente passato, presente e futuro. In tal modo l’arte si svincola dall’ipoteca strettamente contemporanea per aprirsi verso orizzonti più vasti e originali”. (A.B.O.)

“L’arte, insomma, ci illude; e ci fa credere che proprio questo sia possibile; ovvero, che anche all’individualità sia concesso accedere alla gloria dell’eterno.”(M.D.)

L’annuncio pubblico di una immortalità perentoriamente garantita all’artista e soltanto per l’artista è la mossa duchampiana di De Dominicis. L’immortalità si può raggiungere soltanto per mezzo dell’arte assoluta quando tutto l’universo tende all’infinito, il tempo si ferma e l’asintoto verticale si trasforma nell’asta d’oro in equilibrio (Equilibrio 1 “Asta”, 1967).

 

L’OPERA ARCHITETTONICA

La genesi dell’idea architettonica del MAXXI si legge con estrema chiarezza osservando i primi schizzi tracciati ad inchiostro ed acquerello: un complesso flusso di forze sviluppate sul piano come su una lastra fotografica estratta da una camera a bolle, quelle utilizzate per la rilevazione delle particelle elementari. L’area di progetto è il luogo, il campo ove il flusso delle forze, generate dalle tre maglie urbane, si affrontano.

“Il Flusso, la biforcazione e la confluenza degli elementi architettonici fanno capo alle varie traiettorie del contesto urbano e sposano gli edifici esistenti che vengono inglobati nella nuova istituzione. L’edificio non possiede una forma totale da afferrare visivamente in un unico sguardo. Il nuovo campus urbano è organizzato e vissuto sulla base della direzionalità e della distribuzione di densità, piuttosto che su quella di confini o punti chiave. Questo è indicativo del carattere del MAXXI nel suo complesso: è un campo permeabile in cui immergersi“.(P.S.)

Si ottiene così “una sequenza fluida di situazioni spaziali che attraversa una creazione in sospeso, da zone pacate che fluiscono regolarmente in zone multidirezionali e multistrato. Le viste profonde e penetranti, moltiplicate da una serie di sorprendenti cambiamenti di prospettiva, offrono la possibilità di una flânerie illimitata attraverso l’edificio, senza alcun punto stabilito di partenza e d’arrivo. Dovunque si trovi lo spettatore, lo spazio lo spinge oltre, porgendogli nuove visioni a ogni passo e nuove scelte per continuare il percorso”. (P.S.)  

“Viene a crearsi un continuum di elementi architettonici correlati: pareti, travi e costole. Tutto partecipa al formalismo del flusso lineare dei vari elementi. Lo stesso tipo di movimento investe le rampe e le scale, fino al flusso circolatorio del pubblico. Tutto scorre”. (P.S.)

Se il progetto del MAXXI sintetizza un fluido generato da flussi di forze orientate secondo due maglie urbane: via Guido Reni – via Flaminia e Via Poletti – Via Calderini; “Il sito era un recipiente che richiedeva fluido architettonico”. (J.G.) Il fluido prima rimbalza rigidamente fra i vincoli architettonici poi si piega formando ora flussi di linee ora vortici come farebbe un tumultuoso ruscello quando si incanala fra massi granitici.

L’INTERVISTA

Miriam Mirolla intervista il curatore della mostra, Achille Bonito Oliva, il giorno della inaugurazione.

L’INTERVISTA

MUSEO MAXXI: intervista ad Achille Bonito Oliva, curatore della Mostra “Gino De Dominicis, l’immortale”, attraverso l’allestimento dell’arch. Federico Lardera. 

CREATORS

Achille Bonito Oliva; Federico Lardera; larderarch; MAXXI

MAXXI Museum Opening: creators

Le complesse fasi finali dell'allestimento delle opere: il curatore Achille Bonito Oliva con l'architetto allestitore Federico Lardera, la Gallerista Lia Rumma, l'assistente curatore Francesca Franco e il coordinatore Giulia Ferracci del MAXXI...

IL CONCEPT ESPOSITIVO

Il concept espositivo illustra la sintesi geometrica di due grandi forze (opere) apparentemente contrapposte: l’opera artistica di Gino De Dominicis e l’opera architettonica di Zaha Hadid.

L’asta in equilibrio di De Dominicis, l’asintoto verticale, sintesi del lavoro dell’artista, è anche la sintesi del concept espositivo. La mostra trae la sua origine e la sua conclusione nell’asta: quella alta sette metri della gigantesca calamita cosmica adagiata di fronte all’ingresso e quella di tre metri, posizionata nella Galleria 5 di fronte alla grande vetrata panoramica. Idealmente il percorso si materializza nella prima e si smaterializza nella seconda come nella  teoria astrofisica quando si raggiunge la singolarità di un buco nero (la porta) entro il quale si troverebbe un tunnel iperspaziale collegato ad un altro buco nero. 

L’incarico prevedeva inizialmente, per la mostra, l’utilizzo di due spazi espositivi: la sala Gian Ferrari, un residuo architettonico della caserma preesistente, situata al piano terreno in corrispondenza dell’atrio d’ingresso e la vasta Galleria 5 con la grande vetrata inclinata e situata al secondo piano. Due spazi distanti fra loro circa 130 metri.  E’ stato quindi necessario creare un collegamento non solo ideale con gli spazi, punteggiando tutto il percorso di opere. L’ordinamento delle opere allestite è talmente fluido che scorre dall’esterno all’interno senza soluzione di continuità occupando gli spazi più rappresentativi del museo. La mostra non è quindi costruita per punti chiave ma fluisce circolarmente tanto che il visitatore, più che percorrere gli spazi architettonici del museo, è come immerso nel suo fluido quasi fosse un subacqueo che esplora una gigantesca e aliena arca sommersa.

Gli spazi della mostra si possono riassumere in 4 zone: l’esterno, l’atrio con il corpo scale, la sala Gian Ferrari e la  Galleria 5. 

Accoglie il visitatore l’opera più urbana di GDD, il gigantesco scheletro di 24 metri (Calamita cosmica, 1989). Fin dal primo sopralluogo ho subito immaginato la grande opera in quella posizione: uno spazio coperto di fronte agli ingressi principali, che sembrava concepito appositamente per accogliere il fossile umano, affascinante come un dinosauro preistorico.

Le finestre lo avvolgono completamente: sia le grandi vetrate del piano terreno che quelle della Suite 3 e del ponte di collegamento. La copertura aggettante in pesante calcestruzzo sovrasta il corpo come un sarcofago megalitico, sotto di esso si inserisce perfettamente anche l’asta dorata. Per migliorare l’installazione ho elaborato una tecnica specifica con la quale è stato possibile nascondere ogni sistema di appendimento e stabilizzazione dell’asta. Tale tecnica si avvale dell’uso di fili intrecciati in fibra Kevlar, in grado di sostenere carichi elevati con uno spessore inferiore al millimetro e con una deformazione elastica infinitesima.

Varcata la vetrata d’ingresso, poggiata direttamente sul candido pavimento, si incontra subito la Mozzarella in carrozza che dialoga con l’immenso vuoto dell’atrio attraversato da oscuri canali di flusso ascensionale (il corpo scale) e dalle saette luminose di Maurizio Mochetti (Linee rette di luce nell’iperspazio curvilineo).

La carrozza anticipa la sala dove sono raccolte le opere più concettuali. La sala Gian Ferrari, è stata completamente trasformata, un insieme di contropareti e setti genera uno spazio essenziale, bianco, che vuole rievocare lo spazio della galleria L’attico nel garage underground di Fabio Sargentini. Ma la presenza delle quattro colonne in ghisa, della storica caserma preesistente, ha evocato anche altri riferimenti: l’interesse di De Dominicis per i sumeri e il mito di Gilgamesh, monarca-architetto di Uruk, per due terzi divino e per un terzo umano.  

La planimetria della sala viene geometrizzata idealmente sul modello dei templi dissepolti di Uruk creando un gioco di suggestioni in cui anche le colonne in ghisa si rapportano ai fasci in giunco delle capanne arabe della Mesopotamia inferiore. 

La sala concettuale: L’attico-Uruk diviene anche il tempio terrestre da dove i visitatori-iniziati intraprendono l’ascesa verso il tempio cosmico della sala dorata dei pianeti. 

Da questo momento in poi il percorso espositivo è tutta un’ascesa, un vero percorso iniziatico con il grande atrio-caverna disseminato di apparizioni mostruose e demoniache: la nota serie dei Diavoli. Per rendere il tragitto ancora più inquietante, un’idea di Achille Bonito Oliva, si diffonde echeggiando la grassa risata di De Dominicis, registrazione audio ripetuta ad anello legata all’opera D’io (1971). Questa risata è il vero collante acustico che si diffonde rimbalzando per tutto l’atrio d’ingresso. 

Ci si avventura verso la Galleria 5 scalando la rampa nastriforme. La parete sinuosa dell’antro è, ad ogni stazione, allestita con opere adagiate su pannelli espositivi che appaiono fluttuanti. Il visitatore è sollecitato da innumerevoli prospettive inattese. La percezione è avvolgente e le creature dipinte, con i loro grandi becchi, appaiono aggrappate alle pareti come fossero Arpie, i mostruosi uccelli del lago Stinfalo sconfitte da Ercole. 

Il grande vuoto dell’atrio ha una superficie di  534 mq per 16 metri di altezza. Non è mai stato concepito da Zaha Hadid come spazio espositivo al di là del concorso del 2% vinto dall’opera già citata  di Maurizio Mochetti.  

Per poter ottenere quest’effetto, di grande impatto scenografico, naturalmente non è stato possibile perforare a piacimento la pelle cementizia, si è dovuto elaborare un sistema di ancoraggio completamente rimovibile in grado di sfruttare le tipiche forature che rimangono impresse nel calcestruzzo dai tiranti delle casseforme metalliche. I pannelli espositivi, distanziati di alcuni centimetri dalla superficie del museo, una volta conclusa la mostra si smontano lasciando la superficie di ancoraggio completamente integra.

Lungo il percorso, al secondo piano,  si incontra una fila di cubo-teche anch’esse completamente sospese lungo il setto centrale in calcestruzzo. Queste teche, illuminate autonomamente, proteggono come preziosi tabernacoli le opere più piccole.

Di fronte, sulla parete bianca del museo, nel punto in cui la rampa genera una grande ansa circolare, una proiezione video documenta con interventi ed interviste il lavoro dell’autore evocato come una presenza concreta.

Dopo la pausa video il percorso, che si insinua fra le pieghe dei tracciati hadidiani cementificati, si fa più sereno ed è ancora punteggiato di opere, come le due Opera ubiqua (1997). La rampa metallica come un serpente ormai domato ci dirige verso il portale della Galleria 5: l’ingresso al tempio stellare che, come la porta del sole del tempio di Salomone, separa le tenebre dalla luce.

Varcato l’ingresso ci accolgono misteriosi sacerdoti alieni (figure ieratiche tridimensionali mai esposte dall’artista) che come guardie del tempio celeste controllano, severi e silenziosi, il nostro percorso espositivo-iniziatico. Questa è l’ultima tensione architettonico-iconografica. La struttura espositiva si innesta eugeneticamente nel DNA compositivo della sala. L’impressione è quella di attraversare il collo di una clessidra, tutto lo spazio è fortemente curvato, il lucernario, le fessure nastriformi luminose (radiazione di fondo del segno hadidiano), l’architettura espositiva del tempio e anche la superficie del pavimento (sensibilmente in salita) ci ricorda che il percorso artistico-spirituale non è ancora concluso.

Dal collo della “clessidra” fuoriesce un setto di spina che rievoca idealmente il percorso nastriforme delle rampe. È l’asse portante del complesso espositivo, una strada ascendente che conduce alla sala dei pianeti e all’asta d’oro. Tutta la geometria del “campo” scorre lungo il flusso dei tracciati generatori, “naturalmente, un museo progettato come un campo non è un modo di esporre l’arte, ma in questo campo si possono sistemare pareti provvisorie perpendicolari a quelle del perimetro principale.” (Z.H.)    E’ in quest’ottica che si sono generati i setti perpendicolari al flusso: generato dall’urbanistica del sito, dopo innumerevoli vortici architettonici varca l’immensa vetrata e si rituffa, come se fosse una fragorosa cascata, nel serbatoio urbano romano.

I setti perpendicolari, per quanto necessari, sono geometricamente generati dalle onde armoniche determinate dal volume tecnico delle scale e dell’elevatore come se si trattasse di un grosso masso squadrato in mezzo al fiume. Ricorda l’opera di De Dominicis dove il Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua (1969) in questo caso invece riesce. Dal grosso parallelepipedo, alimentati dalla corrente fluida del setto centrale, si staccano vibranti setti perpendicolari con intervallo armonico. La forma definitiva della maglia progettuale, con stanze e nicchie espositive, è così generata dalla sovrapposizione di queste “onde” che possiamo dire ritagliate dai percorsi di scorrimento verso la grande vetrata e dalle aperture longitudinali dei lucernari sul soffitto.

Tutti gli spazi residuali (corridoi) sono allestiti con frasi estratte da scritti e interviste dell’artista. Si crea così un secondo spazio, parallelo e nascosto dietro i setti espositivi che sostengono le opere; uno spazio non visivo ma puramente teorico.

La sala dei pianeti è l’apice della mostra: “luogo astrale e siderale in cui si combattono gli elementi.” (A.B.O.)

La sala ha una valenza sacra, la luce che proviene dalla grande finestra sull’universo illumina le tavole su fondo d’oro. L’atmosfera è rarefatta, unico oggetto della sala l’asta dorata che vibra in eterno equilibrio. Questa è la fine e l’inizio della mostra.

(P.S.) – Patrik SchumacherMAXXI, Zaha Hadid Architects. Skira, 2010.

(J.G.) – Joseph GiovanniniMAXXI, Zaha Hadid Architects. Skira, 2010.

(A.B.O.) – Achille Bonito Oliva, Catalogo della mostra: Gino De Dominicis, l’immortale. Electa, 2010.

(M.D.) – Massimo Donà, Catalogo della mostra: Gino De Dominicis, l’immortale. Electa, 2010.

(Z.H.) – Zaha HadidMAXXI, Zaha Hadid Architects. Skira, 2010.

Federico Lardera, aprile 2011

   

EXHIBITION DESIGN

Progetto allestimento mostra; MAXXI; Gino de dominicis

MAXXI Museum Opening: il progetto di allestimento

Il progetto di allestimento del MAXXI attraverso le molteplici fasi ideative: la maquette allestita con le opere, il modello 3D, e le tavole di progetto.

BACKSTAGE

MAXXI Museum Opening: la costruzione dell’allestimento

Le complesse ed affascinanti fasi della costruzione dell'allestimento della mostra inaugurale del Museo MAXXI. 

Crediti fotografici
Antonio Idini
larderArch studio